I sistemi di illuminazione: le lucerne

 

I Romani utilizzavano, sostanzialmente, tre tipologie di illuminazione: le fiaccole (taedae, faces), le candele (candelae) e le lampade ad olio (lucernae). Mentre le prime erano presenti solo in occasioni particolari quali nozze o funerali, le altre due erano di uso comune, anche se le candele risultavano abbastanza pericolose all’interno delle abitazioni. Le lucernae a olio erano presenti in ogni ambiente della casa, dal triclinio alle stanze da letto o da studio. Al loro interno veniva bruciato olio o sego inserito in un foro al centro della lampada, dal quale si poteva anche rialzare il lucignolo per mezzo di un ferretto. Generalmente il materiale che si usava per realizzarle era l’argilla, ma si sono rinvenute anche lucernae in bronzo e, a volte, in oro. Per la loro fabbricazione si utilizzavano, comunque, materiali malleabili, per cui la varietà delle forme dipendeva dalla creatività del modellatore. Spesso il bordo veniva rialzato, tanto da farle somigliare a delle coppe, così da evitare che l’olio fuoriuscisse. Il recipiente aveva una forma oblunga e schiacciata con un beccuccio (rostrum, myxa) dal quale usciva il lucignolo nella parte anteriore e un’ansa nella parte posteriore che fungeva da manico. Il beccuccio poteva essere più di uno (dimyxos, trimyxos, polymyxos) e, in questo caso, influenzava anche la forma della lucerna. Esistevano vari tipi di anse: ad anello, piatte, cilindriche e così via, che potevano essere applicate al principio della modellazione o aggiunte in un secondo momento.

Inizialmente le lucernae erano molto semplici, ma con il tempo vennero impreziosite da diversi motivi decorativi, come personaggi mitologici, scene di culto, combattimenti di gladiatori, scene di caccia o di pesca, astri o semplici figure geometriche.

Oltre alle comuni lampade a mano esistevano anche quelle pensili, provviste di catenelle terminanti in un gancio che veniva attaccato al soffitto.

Due esemplari di lucerne monoclini in terracotta esposte presso il Museo Oraziano di Licenza (Licenza, Museo Oraziano) (Foto Liceo Gullace)