Il fundus di Orazio: l’area coltivata della villa

La villa di Orazio in Sabina comprendeva, oltre alla domus, anche il terreno circostante che il poeta considerava la sua vera ricchezza. La varietà di prodotti e l’abbondante raccolto, infatti, consentivano di nutrire il proprietario e gli otto schiavi addetti ai lavori agricoli. La villa con il suo fundus rappresentava il coronamento di un sogno, in quanto il poeta aveva sempre desiderato una dimora con un terreno coltivabile che gli potesse garantire la produzione di olive, uva e grano. La villa disponeva anche di un piccolo bosco, di un orticello e di un modesto frutteto. Per il poeta il campo agricolo costituiva la realizzazione terrena del paradiso terrestre epicureo. Il fundus garantiva anche il pascolo per pecore e mucche, che producevano latte e carne. Era considerato, inoltre, alla stregua di una vera e propria impresa redditizia: molto spesso offriva prodotti di lusso o derivati dall’allevamento di animali particolari. Per questo motivo, in alcuni casi, anche gli stessi ambienti della villa erano adibiti a specifiche attività. Esistevano, infatti, ambienti per immagazzinare il raccolto, per conservarlo e per lavorarlo.

Orazio nel suo podere viveva insieme al fattore e ai servi, diversamente da quanto accadeva in altre ville, ove la pars urbana (il settore che ospitava i padroni quando soggiornavano in campagna) era più lussuosa, come, ad esempio, nelle proprietà di Cicerone. Gli schiavi erano sottoposti a un vilicus, ossia il sovraintendente del campo. Le condizioni di vita erano molto dure e peggiori di quelle degli schiavi urbani. Nel periodo dei lavori più impegnativi Orazio era solito assumere degli operai a pagamento: cinque patres familias provenienti dalla vicinissima cittadina di Varia.

Cartolina panoramica del paese di Licenza, anni ’40 del 1900

La terra veniva coltivata con instrumenta quali la zappa dentata, la vanga a punta quadrata e l’aratro. Generalmente la zappa veniva utilizzata dal contadino più povero al posto dell’aratro. Nel I sec. a.C. fu inventato il cosiddetto erpice che consentiva di sminuzzare le zolle senza ricorrere all’uso della zappa e che consentì di ridurre la manodopera schiavistica.

Per l’irrigazione dei campi si utilizzava l’acqua piovana raccolta in capienti cisterne, mentre la concimazione era poco praticata e ciò spiega perché, talvolta, non si riusciva ad incrementare consistentemente la produzione agricola.