Fontane e luxuria

La villa di Orazio non è stata ancora scavata interamente anche perché, trovandosi all’interno del Parco regionale naturale dei Monti Lucretili, qualsiasi intervento deve accordarsi innanzitutto con la tutela del contesto naturalistico. Fra le parti tuttora da indagare v’è, in particolare, il settore centrale del giardino, ove affiora una grande vasca rettangolare scoperta (piscina). Nel corridoio orientale del quadriportico, che circonda il giardino, sono emerse, inoltre, strutture in laterizio forse pertinenti a una fontana o a una quinta scenografica che aveva anche la funzione di sostenere il pendio.

Nelle domus e villae romane il peristilium, cioè il giardino porticato, era allietato da vasche e fontane, e l’area circostante era in genere ornata con statue di divinità o mitologiche, arredi vari e sedili; un luogo piacevole e raffinato, quindi, dove il padrone di casa poteva dedicarsi all’otium litterarum (il tempo riservato alle attività letteraria e intellettuale); non di rado vi sorgevano anche tempietti e fontane con scenografici giochi d’acqua.

Museo Oraziano di Licenza, testa in marmo dalla villa di Orazio (Foto Liceo Gullace)

Varrone in età tardo-repubblicana, nei frammenti 531 e 532 delle Saturae Menippeae, esprime vivo disappunto proprio per l’utilizzo di copiose quantità d’acqua destinate ad alimentare fontane e ad innaffiare giardini.

Tuttavia, nonostante la critica varroniana, l’uso spregiudicato dell’aqua non fu ricondotto al concetto di luxus o luxuria, come potrebbe accadere nella moderna concezione di acqua quale bene di lusso. Infatti, non si ha traccia di “aqua” nelle ricorrenti leggi del I sec. a.C. e I d.C. sulla limitazione del lusso. Si evince, comunque, che la concessione idrica a privati riguardava pochi privilegiati e che per l’élite romana era importante poter esibire fontane e giochi d’acqua nei giardini, contribuendo a creare uno spazio degno della propria classe sociale. L’abbondanza di acqua per le scenografie previste in edifici di lusso era, pertanto, una voluta ostentazione della luxuria collegata allo status symbol del proprietario.

Nei giardini erano previsti corsi d’acqua naturali o artificiali e fontane con zampilli (aquae salientes); sotto gli scarichi a parete, spesso adattati in nicchie poligonali o semicircolari, si collocavano bacini (labra) e vasche. I doccioni a protome leonina di antica tradizione erano motivi ornamentali ricorrenti, cui molti altri se ne aggiunsero: teste e busti raffiguranti Mercurio od Oceano, Venere o Fortuna, divinità fluviali o Gorgoni, maschere teatrali, protomi di animali (come tori o arieti) e simboli non figurativi (conchiglie, scudi, rosette).

È possibile che dal giardino o da una fontana della villa di Orazio provenga il cosiddetto “lacunare” marmoreo, oggi al Museo Oraziano di Licenza, ornato al centro con foglie di acanto da cui fuoriescono granchi e ranocchie.

Museo Oraziano di Licenza, "lacunare" marmoreo (Foto Liceo Gullace)

Il passaggio dai giardini più antichi, costituiti di soli elementi vegetali e floreali, agli impianti più complessi dotati di strutture connesse sì alla natura, ma artificiose, con acqua che sgorgava da grotte o scorreva su gradini, si compì molto rapidamente durante la tarda età repubblicana, sotto l’influenza della cultura dei giardini proveniente da alcune città orientali.

I giardini interni delle domus romane erano forniti di fontane gorgoglianti, edicole con getti d’acqua e bacini con zampilli che consentivano di godere del piacere dell’acqua corrente e scrosciante, a cui si aggiungevano, a seconda delle dimensioni delle case, vasche e canali scoperti, denominati munera, presenti anche sulle pubbliche piazze e ai crocevia, nei palazzi imperiali e nelle residenze campestri. Tutte queste concrete ‘raffigurazioni’ dell’acqua, definite da Frontino cultiores, rappresentano una componente della cultura dell’acqua specificamente romana e occupavano il terzo posto nel consumo idrico dell’Urbe.

Nella prima e media età imperiale furono molto apprezzati i ninfei a facciata ovvero le fontane a più piani con bacini, edicole e statue. Particolare risalto fu riservato alle krenai (“fontane” in greco), strutture che, mutando la loro primitiva funzione di distribuzione di acqua potabile, facevano sgorgare l’acqua per l’appagamento della vista e dell’udito, assecondando un gusto ornamentale rivolto all’ostentazione di sfarzo e monumentalità.