La produzione del vino

I Romani appresero le diverse tecniche per la coltivazione dell’uva e la vinificazione dai Greci.

La produzione vinicola nell’antica Roma diventò sempre più importante con l’incremento dei possedimenti agricoli, dove il dominus, proprietario degli schiavi addetti al lavoro dei campi, abitava con la propria famiglia. Nella villa rustica alla produzione del vino si associava sovente quella dell’olio.

Nei terreni destinati alla vinea venivano realizzati solchi drenanti alla distanza di 10 pedes (circa 3 metri) l’uno dall’altro, secondo le raccomandazioni di Columella nel De re rustica, allo scopo di mantenere il giusto tasso di umidità e calore.

Una volta raccolti i grappoli, l’uva veniva conservata in ceste di vimini, ma poteva anche essere prima pestata con i piedi nei tini (calcatoria), in modo tale da ridurne il volume. Per la spremitura si usavano torchi costituiti da un lungo palo ligneo (prelum), un verricello (sucula) e una grande vite verticale (coclea). Il mosto veniva raccolto in una giara e poi in un dolium (vaso di terracotta panciuto). I dolia venivano quindi interrati nelle cantine per la conservazione e l’invecchiamento del vino, periodo che poteva durare fino a 20-25 anni. Successivamente si procedeva al travaso in anfore.

Magazzino-dei-Doli-Ostia-Antica
Magazzino dei Dolii, Ostia Antica (Fonte: Wikipedia)

I vini migliori venivano arricchiti con il defrutum, un mosto in grado di aumentare la gradazione di 1 o 2 gradi alcolici. Ai vini provenienti dai vigneti meno pregiati si aggiungevano invece sostanze non sempre alimentari, con l’intento di migliorarne anche la conservazione: gesso, resina, cenere, acqua marina, sale, pece, scaglie di ostriche tritate.

Il vinum mulsum era il vino tagliato con miele che solitamente era servito all’inizio della cena in concomitanza con la gustatio, la fase degli antipasti. Per filtrarlo si utilizzava un panno di lino sul quale veniva stesa della neve prelevata sulle montagne; in tal modo si diluiva e raffreddava allo stesso tempo. Spesso si utilizzavano anche piante aromatiche per diversificare e rendere più gradevole il sapore. Poiché la fermentazione non veniva controllata, spesso il grado alcolico era elevato, pertanto i Romani diluivano il vino con acqua calda o fredda secondo i gusti e le stagioni. Non si ricercava il vino puro, perché l’ubriachezza era considerata incivile. Durante i banchetti, quando i commensali erano brilli, il padrone di casa faceva servire un disgustoso miscuglio di mandorle amare tritate, cavolo crudo e polmone di capra per far liberare gli ospiti dall’eccesso di vino e cibo ingeriti. Nonostante tutto, questa bevanda era parte essenziale dell’alimentazione e veniva consumata anche durante la prima colazione per intingerci il pane.

Le donne di ogni età non potevano bere vino ed erano controllate anche mediante lo ius osculi, il “diritto del bacio”: gli uomini, cioè, mediante il bacio, verificavano se avevano bevuto. Uno dei motivi legati a questo divieto era il timore di un tradimento e il dubbio di dover allevare un figlio altrui.

Anche Orazio esalta spesso nei suoi versi le qualità del vino, in quanto aiutava gli uomini a dare libero sfogo ai sentimenti più nascosti.

 

Sitografia